Il Growth Hacking oltre le buzzword e l’hype. Cosa è questa metodologia e perché può aiutare la tua azienda.

Come sempre, quando intorno a un argomento c’è hype, è difficile distinguere le cose concrete dalla cosiddetta “fuffa”. Del Growth Hacking si è detto tutto e il contrario di tutto, ma in pochi ne hanno capito il vero valore.
L’anno scorso ne abbiamo parlato al Florence Marketing Experience insieme a Raffale, oggi cerchiamo di conoscere meglio questo ragazzo salernitano e il mondo in cui vive.

Iniziamo col conoscerci meglio: chi sei e cosa fai nella vita?

Raffele GaitoRaffaele Gaito, Salernitano, classe 84. Nella vita faccio parecchie cose: imprenditore, consulente, formatore, blogger, autore, creatore di contenuti e chi più ne ha più ne metta. Diciamo che mi piace tenermi impegnato!

Quando e come hai iniziato a fare il tuo lavoro?

Ho scritto la mia prima riga di codice che avevo 15 anni, ho aperto il mio primo blog che ne avevo 17 e ho iniziato a fare impresa quando mi sono iscritto all’università, intorno ai 20 anni. Entrando nello specifico del Growth Hacking (che è la materia principale di cui mi occupo) ho iniziato circa 4-5 anni fa a farlo in maniera strutturata, anche se era da anni che smanettavo su quei temi senza sapere che avessero un nome specifico.

Da quando hai iniziato a fare questo lavoro i tempi sono molto cambiati. Allora probabilmente non esistevano corsi di studio specifici e, come molti di noi, ti sei formato nel tuo campo da autodidatta o adattando il tuo corso di studi e la tua esperienza a quello che sognavi essere il tuo futuro. Oggi come consiglieresti di iniziare a chi si vuole approcciare al tuo mondo lavorativo?

Growth hacker. Mindset e strumenti per far crescere il tuo businessEffettivamente quando ho iniziato io c’era molto poco. Studiavo i testi americani e poi provavo a mettere in pratica quei concetti sui miei progetti e nei prodotti che lanciavo. Oggi c’è una vasta scelta di contenuti, sia in lingua italiana che inglese. Ci sono corsi di formazione sul Growth Hacking sia online che offline (come ad esempio questo realizzato da Lacerba dove sono uno dei docenti), molte università stanno iniziando a inserire moduli sul Growth Hacking nei corsi di laurea dedicati al marketing, ci sono diversi libri (anche in lingua italiana, come il mio) e tanti contenuti gratuiti per chi vuole semplicemente approfondire il tema. Io stesso sul mio blog tratto spesso il tema del “come diventare growth hacker”. La cosa che consiglio a chi vuole iniziare è un mix equilibrato di teoria e pratica: è importante studiare le basi teoriche di questa materia (come lo è sempre, per qualsiasi materia), ma poi è importante avere la possibilità di sporcarsi le mani su un progetto reale, per poter applicare concretamente ciò che si studia.

“Il Growth Hacking non serve a darti risposte ma a farti porre le giuste domande”, così hai iniziato il tuo intervento l’anno scorso a FMX. Quali sono le prime 3 domande fondamentali che dobbiamo sempre porci secondo te?

È difficile dare un elenco di domande generiche che si possano applicare in ogni situazione, perché molto dipende dal contesto e dal tipo di problema che ci troviamo di fronte. In linea di massima io ho alcune mie domande preferite che sono:
  1. Perché?
 Questa è la classica domanda dei bambini curiosi che non dovremmo mai smettere di porci: perché una cosa funziona in un certo modo? Chi fa questo lavoro è guidato dalla curiosità, la curiosità di smontare la scatola e vedere cosa c’è dentro.
  2. Perché no?
 Da non confondere con la precedente, questa domanda ci tiene aperte delle porte che gli altri tendono a chiudere troppo velocemente. Chi ha detto che una cosa va fatta per forza in un certo modo? Combattere lo status quo dovrebbe essere il pane quotidiano di un Growth Hacker.
  3. E quindi? 
Questa è forse la mia preferita, è la risposta a tutte le lamentele, scuse, obiezioni e chi più ne ha più ne metta. Facebook ha cambiato l’algoritmo… e quindi? Il capo mi ha ridotto il budget… e quindi? Il cliente non capisce quello che faccio… e quindi? È la domande che ci dovrebbe spronare a trovare una soluzione, a smettere di lamentarci e farci tirare su le maniche per ragionare già su quello che viene dopo.

Tu sostieni che il Growth Hacking deve avere un approccio 100% data driven, ci fai qualche esempio concreto?

Data driven è un’espressione che nel tempo abbiamo un po’ svuotato di significato. Molte aziende si dicono data driven e in realtà non lo sono. Essere al 100% data driven in realtà significa:
  • Sapere quali dati leggere (e già questo non è facile)
  • Sapere come interpretare questi dati (e qui potremmo parlarne per ore)
  • Sapere quali decisioni prendere una volta interpretati i dati (che è la parte più ostica)
C’è una bellissima citazione (di cui non ricordo mai l’autore) che dice “La cosa peggiore che un imprenditore può fare è piegare i dati al proprio volere”.

Con l’esempio di Coca Cola l’anno scorso dichiaravi che “puoi essere bravo quanto vuoi col marketing ma non sempre questo ha un impatto sul fatturato“. Oltre a Coca Cola e le elezioni di Macron (e il tuo libro) hai qualche case study nuovo da suggerirci?

Beh ce ne sono a decine. Negli ultimi tempi aziende di ogni tipo hanno annunciato di aver avviato un team di Growth Hacking al loro interno (proprio come siamo abituati a vedere un team di marketing). Alcuni esempi sono Phillips, ING, Heineken e tanti altri. Uno dei casi più interessanti, in termini di risultati è sicuramente quello di Netflix che continua a crescere ed evolversi nonostante il suo settore diventi sempre più difficile.

Il Growth Hacking è un processo di sperimentazione rapida sul prodotto e sui canali di marketing per trovare il modo più efficiente di far crescere un business”. Cosa intendi qui per rapidità (tenendo conto che la definizione è molto soggettiva e deve sottostare anche ai cambiamenti della tecnologia)? Se un cliente volesse vedere i primi risultati in quanto tempo dovrebbe aspettarseli?

La rapidità nel contesto nel quale viviamo è fondamentale. È un mondo veloce dove il digitale cambia le regole del gioco più volte l’anno. I canali tradizionali sono saturi, ma fortunatamente emergono nuovi canali di continuo, che poi si saturano o finiscono nel dimenticatoio. Un anno fa tutti parlavano di Snapchat come modo migliore per raggiungere i teenagers, oggi nessuno ne parla più. 6 mesi fa Musically era il social del momento per quel target e oggi se non sei su Tik Tok è praticamente impossibile raggiungere i giovanissimi. Ecco cosa intendo per rapidità. È ovvio che non tutti i business sono uguali, non tutti i settori sono uguali e non tutti i canali sono uguali. È certo il fatto che un’azienda non può aspettare mesi per vedere i risultati di un’attività, deve ottenere informazioni utili in settimane, possibilmente giorni.
Il Growth Hacking si basa tutto su questo concetto: più sei veloce e più puoi testare, più puoi testare più sono le possibilità che qualcosa funzioni e ti faccia crescere.

Leggendo la tua definizione di Growth Master nell’articolo pubblicato anche su The Startup Canvas di Massimo Ciaglia viene da pensare che questa figura sia una sorta di consulente onnisciente. Cosa lo differenzia da un classico consulente di marketing o un esperto nel mondo Agile?

Assolutamente no, anzi sottolineo spesso che è un lavoro di team e che il Growth Master altro non è che un facilitatore che lavora sul processo, non sulle persone (non è un manager, per capirci). È una figura che deve avere un profilo multidisciplinare perché confrontandosi con figure diverse deve essere in grado di dialogare con tutti: dal programmatore, al marketer passando per il designer e il customer care. Questo non significa assolutamente che deve essere un esperto in tutte quelle materie.
Se volessimo fare un parallelismo con il mondo Agile, il Growth Master sta al Growth Hacking come lo Scrum Muster sta all’Agile.
Sono le stesso ruolo, ma in contesti diversi e con metodologie diverse. La differenza rispetto al marketer è semplice: il marketer si occupa di marketing, il Growth Hacker si occupa di crescita e il marketing è solo uno degli strumenti che ha a disposizione.

Qual’è stata la sfida più difficile che hai dovuto affrontare seguendo un cliente?

I primi tempi la sfida più grossa era sicuramente far capire il valore del metodo in se. In un’epoca nella quale si rincorrono i like facili e si pensa al risultato immediato, non è facile far concentrare gli imprenditori sui vantaggi a lungo termine. Nessuno vuole sentire parlare di processi, di ottimizzazioni, di visione e di strategia.

Ultima domanda: ti piace il tuo lavoro? Lo cambieresti? E, se sì, cosa vorresti fare?

Certo che mi piace il mio lavoro e proprio per questo prima o poi lo cambierò 😉 Mi annoio molto facilmente e ho bisogno di continui stimoli nella mia vita, se rimango troppo tempo su un team mi sento impazzire.
Ho bisogno di mettermi continuamente alla prova.
Il cosa farò non lo so ancora bene, ma ho in mente 2-3 cosine che mi intrigano da parecchi anni e sulle quali sto già facendo un po’ di esperimenti. Vi terrò aggiornati 😉